Il primo film di una Anna Kendrick regista è un vero e proprio pugno nello stomaco. Proviamo a raccontarvelo senza spoilerare troppo.
Rodney emerge come il protagonista inquietante tra tre aspiranti partner, incarnando una figura sinistra. In una scena che colpisce con la sua brutalità, si apre un dialogo inquietante: “A cosa servono le ragazze?” chiede Cheryl, e la risposta di Rodney non lascia spazio a dubbi. “A quello che vogliono loro,” dice, rivelando la natura predatoria del suo personaggio. Gli orribili dettagli delle sue azioni, che includono violenze inaudite e un gioco disturbante con le vite delle sue vittime, lasciano senza parole.
La camera, tramite un piano sequenza teso, segue Cheryl nella solitudine della notte, instillando nello spettatore una crescente sensazione di angoscia. Quella scena, che si riflette nel trailer, non è solo un esercizio di bravura da parte della regista, ma anche un doloroso richiamo alla realtà vissuta da tutte le donne. Ogni donna può riconoscersi nella paura di essere seguita, nel gesto di esibire il telefono per simulare una conversazione, nell’ansia di tenere la borsa ben chiusa. È un orrore tangibile, che svela l’ordinarietà dell’incubo che pervade la vita quotidiana.
Un momento cruciale della narrazione si sviluppa in una scena di audizione che rivela una verità inquietante. I produttori, gelosi di apparire in una posizione di potere, non possono fare a meno di commentare pesantemente l’aspetto delle candidate. L’idea che le donne debbano accettare a priori la possibilità di scene di nudo è una cattiva battuta, un pregiudizio da cui non riescono a distaccarsi. Cheryl, mentre manovra per farsi strada nel mondo dell’intrattenimento, viene costretta a cambiare il proprio look, sacrificando la propria identità per adattarsi a degli stereotipi irrealistici. È un colpo al cuore, un riflesso della pressione sociale che le donne devono affrontare ogni giorno. La vulnerabilità si mescola con la determinazione, creando un contrasto palpabile che rende la storia ancora più potente.
Mentre la trama si infittisce, viene rivelata una scena in cui una spettatrice, colpita dall’angoscia e dall’orrore, riconosce Rodney. Il suo tentativo di denunciare il predatore viene ridicolizzato e ignorato dal personale di sicurezza, che, indifferente, non comprende il rischio grave.
Questo episodio dimostra chiaramente come l’ignoranza e la negazione da parte delle autorità abbiano permesso a Rodney e ai suoi crimini di prosperare per anni. L’atteggiamento distorto di chi avrebbe dovuto proteggere la società riflette una triste realtà: molte segnalazioni sono state trascurate, le lacune nella gestione delle denunce di violenza hanno consentito l’espansione di un incubatore di terrore.
La regista, supportata da una sceneggiatura incisiva, riesce a far emergere un messaggio potente per le donne di ogni epoca: la necessità di mantenere la guardia alta è un fattore cruciale per la loro sicurezza. L’esperienza quotidiana di prevaricazione e umiliazione non è estranea; al contrario, è parte della vita di molte.
Ogni gesto da compiere, ogni ambiente da attraversare richiede una vigilanza costante. È incredibile eppure tragicomico come la vita delle donne sia costretta a una sorta di sorveglianza continua, come se potessero sempre essere le prossime vittime in una storia che sembra non conoscere fine.