Digitando su Google il nome di Sabrina Misseri, una figura centrale in uno dei delitti più drammatici della cronaca italiana, non si può non notare la suggestiva comparsa del termine “dimagrita”.
Questo particolare suggerimento di ricerca sembra evidenziare un aspetto che va oltre il crimine stesso: la costante attenzione sul corpo femminile, un tema che attraversa la vita di molte donne. Il corpo diventa simbolo di una narrazione che va ben oltre la mera responsabilità legale, trasformandosi in un oggetto di scrutinio, giudizio e consumo mediatico. È proprio sul corpo di Sabrina, ma anche su quello di Sarah, che si riverbera un’occhialata dal pubblico e dai media, spostando il focus da questioni di colpa o responsabilità al potere della fisicità, da un omicidio a un consumismo della carne e del dolore. Non è solo nel mondo digitale, però, che si percepisce questa ossessione. In effetti, la miniserie “Avetrana – Qui non è Hollywood” riesce a creare un discorso visivo che affronta il tema dei corpi, facendoli divenire protagonisti di una narrazione ricca di insinuazioni e verità scomode.
“Avetrana – Qui non è Hollywood”, in onda su Disney+ dal 25 ottobre, è una miniserie diretta da Pippo Mezzapesa che cerca di esplorare una delle pagine più oscure della cronaca italiana. Scritta da un gruppo di autori, tra cui lo stesso Mezzapesa, la serie si propone di rivelare le pieghe di una vicenda che ha colpito profondamente la coscienza collettiva dell’Italia. La storia si concentra sulla tragica scomparsa di Sarah Scazzi, una giovane ragazza, il cui destino ha accresciuto il clamore mediatico e il dramma dell’intero paese. Composta da quattro episodi di circa un’ora, l’opera abbraccia molteplici prospettive. Così, ogni episodio si dedica a raccontare il punto di vista di vari protagonisti: Sarah, Sabrina, Michele e Cosima. Questa scelta narrativa permette di dare vita a un mosaico complesso di verità e mezze verità, generate da voci che si intrecciano nel calore asfissiante di una provincia pugliese.
La bravura degli autori sta nel saper creare un’atmosfera tesa e intrisa di emozione, in cui ogni personaggio diventa un punto di vista unico ma al contempo parte di un dramma collettivo. Avetrana, un piccolo paese al confine tra mare e terra, si trasforma così in un palcoscenico dove si svolgono le contraddizioni dell’animo umano. L’innocenza di un’estate che doveva essere spensierata, viene brutalmente stravolta dalla scomparsa di una ragazza di soli quindici anni, avvenuta il 26 agosto 2010. La tragicità della situazione avvolge il paese e le famiglie coinvolte, immergendo il pubblico in un mondo dove il dolore e la ricerca della verità si fondono in un unico respiro angoscioso.
Nella struttura narrativa della serie, i corpi di Sabrina e Sarah sembrano orbitarci l’uno intorno all’altro, creando un’analogia quasi cosmica, come due pianeti destinati a scontrarsi. Sabrina, cugina di Sarah, la accoglie a casa e insieme vivono momenti di spensieratezza e tensione, una relazione complessa fatta di amore e rivalità. Entrambe giovani e in cerca di attenzioni, il loro legame diventa simbolo di una conflittualità latente che si manifesta nei dettagli più piccoli. Le incursioni nel mondo esterno, come le uscite al mare, non sono semplici occasioni di divertimento, ma diventano palcoscenico della loro crescita e dei loro desideri. Sabrina, che si sente spesso insoddisfatta del proprio corpo, sembra avvolgersi in una sorta di conflittualità con se stessa e con Sarah, la cui immagine si staglia come un’opposizione continua.
Nel filmare questi momenti, la regia riesce a catturare l’essenza di un rapporto che si sviluppa nei meandri della gioventù, con flirt e gelosie emerse nel quotidiano. La rappresentazione cinematografica dei corpi diventa rilevante, perché non è solo una questione di forme, ma di emozioni e di potere. Sabrina, schiacciata da un’immagine di sé che dissocia il corpo dal resto della sua identità, vive un’incepta ricerca di approvazione. La sua frustrazione emerge nel momento in cui il suo sguardo critico si sofferma sul suo corpo, in un continuo confronto con quello di Sarah, che rappresenta un ideale di bellezza opposto. Sarah, alta, snella e bionda, incarna per Sabrina tutto ciò che lei desidera ma mai avrà. Questo conflitto interiore si fa sentire non solo nel rapporto tra le due donne, ma si estende anche a un’intera società che giudica e misura le donne in base a standard irraggiungibili.
Un tema cruciale, tuttavia, riguarda come il corpo di Sabrina venga percepito dal mondo esterno e quale significato gli venga attribuito. Nella serie, frequentemente, la si vede impegnata in gesti quotidiani, come il mangiare. Queste sequenze, benché possano apparire banali, rappresentano una narrazione metaforica della sua lotta interiore. La disaffezione con cui vive il suo corpo in sovrappeso diventa palpabile, suggerendo una connessione tra il suo stato interno e la sua immagine esterna. C’è una sorta di stigma associato a quell’aspetto, percepito come indizio di un’anima tormentata, di sentimenti negativi che albergano dentro di lei. Un corpo percepito come “grasso” viene automaticamente collegato a emozioni quali invidia, gelosia e rancore, generando un’atmosfera di patologizzazione e giudizio.
La serie, attraverso una costruzione attenta delle dinamiche relazionali, riesce a sviscerare una visione che valica i limiti del singolo e abbraccia il panorama collettivo della società. La sudditta centralità del corpo femminile viene messa in luce, diventando metafora di conflitti più ampi e complessi. Sabrina e Sarah, percorrendo la loro esistenza fianco a fianco, rendono evidente come i corpi possano essere tanto fonte di attrazione quanto terreno di scontro. Attraverso questi corpi messi a nudo, la narrazione si adombra di angoscia e conflitto, non solo personale ma anche culturale, dimostrando che il significato di un corpo va oltre l’aspetto fisico. Così, i corpi di Sabrina e Sarah diventano il simbolo di una lotta invisibile che continua a segnare la femminilità nel contesto sociale contemporaneo.